Il fallimento del Cigno

Da bambini, se non conoscevamo il significato di una parola, le maestre ci invitavano a cercarla sul vocabolario. Ora, immaginate che vostro figlio, o nipote, vi chieda: “Cosa è il fallimento?” e voi rispondeste di cercarlo insieme nel pesante tomo.

Falliménto. […] 3.Fig. riconoscere l’inutilità dei proprî sforzi, l’impossibilità e incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione.

[Definizione estratta da Vocabolario Treccani]

Come facciamo, dico io, a spiegare a quel bimbo come “riconoscere l’inutilità” dei nostri sforzi? Quale tipo di sforzo è da considerarsi utile? Vogliamo poi parlare dell’ impossibilità e incapacità di raggiungere i nostri scopi?

Fin da piccini ci insegnano a immaginare, a dare sfogo alle nostre fantasie creando forme con le nostre mani, a dare “vita” a cose che probabilmente non esistono in natura.

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Mettiamo caso che un bimbo di 3-5 anni voglia realizzare, da questa pallina di pongo, un bel cigno.

Ovviamente, per quanto nitida possa essere l’immagine nella sua fantasia, è improbabile che l’esecuzione risulti realistica.

A quel punto abbiamo una scelta: dire al bimbo di aver fallito, oppure incoraggiarlo e congratularsi per il suo personalissimo capolavoro che, per lui, sarà sicuramente identico al suo corrispettivo reale.

Quale delle due opzioni scegliereste?

Vedete, io per questo non credo al fallimento. Non si può rinunciare definitivamente alla lotta, specialmente se si sta combattendo per i propri sogni, i propri ideali. Provate a dirlo voi a quel bambino che il suo cigno non va bene, che deve definitivamente rinunciare a plasmarne uno, che deve smettere di sforzarsi, che è impossibile.

Ci sono alcune parole che, secondo me, dovrebbero veder modificate le proprie definizioni, a cominciare da questa. Io la vedo così: se ci provi e non riesci, non stai fallendo, stai semplicemente sbagliando metodo. Se quel bambino avesse messo troppa pasta di pongo sulla testa del cigno e troppo poca sul collo, inevitabilmente la scultura non reggerebbe; basterà spiegare al piccolo artista che deve solo dosare meglio le parti, modificando anche di poco il suo metodo…giusto? Eppure, quello non sarà mai un cigno ai nostri occhi, perché ci hanno insegnato che dopo un po’ che ci proviamo, se la cosa non riesce, abbiamo comunque fallito.

Noi, ora “grandi”, a cui è spesso stato detto che fallire è come toccare il fondo e che se si cade giù basta solo rialzarsi e continuare a correre, stiamo da sempre seguendo il consiglio sbagliato.

Non basta rialzarsi, se si è già caduti sulla stessa strada. Non è sufficiente modificare il tiro aggiungendo o togliendo “creta” dai nostri progetti.

Bisognerebbe ricominciare da zero. Cambiare completamente strada. Distruggere il  cigno per farne uno nuovo. Non è impossibile. E non avremo fallito nel senso attuale del termine. 

Perciò, se proprio si deve dare una descrizione a questo fenomeno, mi sento di proporre io una nuova definizione.

Falliménto. Riconoscere  l’inutilità dei  i proprî sforzi, l’impossibilità e incapacità di accettando la probabilità di non raggiungere gli scopi fissati nel modo giusto, rinunciando definitivamente temporaneamente alla lotta, all’azione, nell’attesa di un nuovo progetto.

In questo modo…

Come sempre, tutto torna.

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