Underwater

Mi capita spesso di non voler capire.

Come se avessi la testa immersa nell’acqua, sento, ma non distinguo le parole e neanche mi importa farlo.

E vorrei che questa sensazione durasse per sempre.

Come il senso di vuoto allo stomaco quando ci tuffiamo che ci risucchia, ci attira, mentre ci facciamo spazio nello spazio, per poi impattare con la tesa superficie dell’acqua e sfondarla.

Affondiamo, per poco. Troppo poco. Perché i nostri corpi sono fatti di vita, e risalgono avidi verso l’aria aperta. Non abbiamo scelta. Dobbiamo risalire.

Invece la testa è pesante, è l’inizio e il capo: decide lei. Quindi la immergo e sto zitta.

Tutto è attutito. Quando hai casino dentro, è impossibile ordinare il caos che viene da fuori.

Mi capita spesso di non voler capire, perché in realtà quello che capisco mi colpisce, mi lacera, mi trapassa… ma sott’acqua tutto è più lento e leggero. Le mie preoccupazioni fluttuano come meduse, il cuore pesa come un’ incudine.

A questo punto mi resta solo scegliere: toccare il fondo lentamente e poi spingermi verso la superficie, oppure uscire subito dall’acqua, col rischio di ricadere più pesantemente la prossima volta.

TUTTO TORNA.
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